2. Testimonianza di Giuseppe Papetti del 29 gennaio 2017

29 gennaio 2017
Aravecchia di Vercelli

Perdonate se per parlare di don Luigi dovrò pescare in ricordi molto personali: del resto il nostro fu uno strano rapporto: come tra due artisti, come tra due anime che avvertono molta affinità.
Ho conosciuto il nostro caro Luigione una sera d'inverno di tanto tempo fa. Ero venuto da lui per chiedere un aiuto per un amico in difficoltà. Era da tanto che sentivo parlare di questo strano prete, ma esitavo a incontrarlo. Lui, invece, mi disse che era da tempo che voleva incontrare me: mi stava aspettando.
Quella sera del mio amico in difficoltà quasi non parlammo (era come se don Luigi sapesse che sarebbe stato inutile attivarsi per lui. E aveva ragione!)
Parlammo, invece, dei progetti che egli aveva per me circa la Cappella di Curino.
E' così che nacque la nostra bella amicizia e conobbe poi una frequentazione quasi quotidiana per un bel po' di anni. Qui a Vercelli, dove passavo spesso a prenderlo, ma soprattutto a Curino, dove andavamo insieme quasi ogni giorno dalla primavera all'estate.
Devo dire che prima di allora non mi era mai capitato – e finora non mi è più successo – di conoscere un uomo dal cuore così vasto, dalla mente così aperta, dall'animo tanto coraggioso. Innamorato della Bellezza, occupato a tempo pieno ad operare per il bene comune.
Indifferente alle critiche, alle malevolenze, alle calunnie (che non mancano mai), sostenuto però dai tanti amici e collaboratori, anche da benefattori.
Lavorava senza tregua a inventare occupazioni, occasioni, possibilità di vita. Lavorava per un mondo più giusto.
La sua attenzione costante ai poveri, agli ultimi, agli svantaggiati, ai sofferenti di ogni male era un'attitudine di vero servizio e non di comodo: una'ttitudine che lo occupava di giorno e di notte, senza risparmiarsi mai.
Come il buon pastore del Vangelo era pronto a dare la vita per il suo gregge. E lasciare le novantanove pecore al sicuro nell'ovile per andare in cerca di quell'unica che si era smarrita. Fin che non l'aveva caricata sulle spalle e riportata al sicuro non di dava riposo.
Luigi era un uomo pratico e concreto come i contadini di una volta, solido come chi sa di avere costruito la sua casa sulla Roccia, tenero come una mamma premurosa e saggia.
Vedeva lontano. Ma sapeva anche guardare dentro. Dentro le cose, ma soprattutto dentro il cuore di ciascuno.
Come un buon padre di famiglia ricordo che metteva a tavola i suoi figli e li serviva. Li chiamava proprio così: "i misi figli". Poi quando tutti stavano mangiando, solo allora si sedeva e consumava quel che era rimasto.
Terminato il lavoro di tutti i giorni diceva di sé quel che il servo del Vangelo dice: "Sono solo un servo inutile. Ho fatto quel che mi è stato ordinato".
Luigi era una persona intraprendente e geniale: vedeva oltre. E seminava Bellezza ovunque intorno a sé. Era il suo modo di collaborare al lavoro del Creatore: curare la terra come fosse un giardino, accudire agli animali, riadattava vecchie case per renderle ospitali, aperte a tutti. E insegnava a fare altrettanto.
Era un prete? Si. Ma era molto di più: era un uomo. E non credo di esagerare se dico che era anche un Santo. Certo non un Santo da calendario o da candele accese. Un santo feriale: uno di quelli che "credono" davvero, "operano" davvero, "amano" davvero. Uno di quelli che fanno della loro vita un dono per il Signore, un dono per i fratelli. In silenzio. Con la loro dedizione totale.
Vorrei concludere i miei ricordi regalandovi la confidenza di un segreto.
Un giorno, mentre stavo dipingendo la facciata della Cappella di Curino, il Luigione si avvicina, mi prende per un braccio per tirarmi in disparte e sottovoce mi chiede di promettergli di non rivelare a nessuno quello che stava per dirmi.
Era stranamente pallido, ma il volto era raggiante: si vedeva che era profondamente turbato.
Mi disse: "Sai che stamattina ho avuto una vera visione? Ho visto il Signore. Mi veniva incontro e si è fermato davanti a me. Lo vedevo come vedo te adesso, tanto che avrei potuto toccarlo. Mi parlava ma non ricordo più esattamente cosa mi diceva perchè ero come immerso nel suo volto. Ricordo solo che mi ha detto che presto morirò. Ma mi ha lasciato nel cuore una pace che non ti so descrivere. Credimi: non era un sogno a occhi aperti e nemmeno un'allucinazione. Era una vera presenza, reale".
Siccome so che Luigi non era certo il tipo che vive di fandonie e che non ciurlava nel manico, e non era nè un credulone nè un impostore… gli ho creduto.
Aveva davvero visto. E quella visione l'aveva scosso e al tempo stesso confortato.
Ho tenuto per me quel suo segreto e se ora mi sento sciolto dalla promessa fattagli è solo per testimoniarvi la straordinarietà di quell'uomo che tutti noi abbiamo avuto la fortuna d'incontrare, di conoscere e di frequentare.
Per la vita che ci resta da vivere facciamo tesoro dei suoi tanti insegnamenti. Non lasciamo che vada del tutto perduta la sua preziosa eredità.