Molin Camillo – Brusnengo

Il Molin Camillo

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Don Luigi Longhi è arrivato al "Molin Camillo" per uno di quei giri provvidenziali che la vita riserva a tutti, ma in particolare a coloro che hanno occhi per vedere al di là delle banalità del quotidiano.

Probabilmente tra i rovi del Molin Camillo, il giovane emiliano, giunto colla sua famiglia al "Chierro" negli anni '50, ha compiuto qualche escursione coi fratellini o cogli amici, nei giri di avventura che caratterizzano tutte le adolescenze. Che ricordi avesse di quegli anni relativamente a quelle rive del torrente che lambiva casa sua e che qualche centinaia di metri più a valle, già in quegli anni, diventavano sempre più preda dei rovi e delle infestanti, non sappiamo. Avrà senz'altro conosciuto gli ultimi abitanti di quelle case che rischiavano di essere sommersi dai rovi, abitanti anziani rimasti in un territorio senza prospettive, con figli e nipoti che si stavano sparsendo per il mondo in cerca di fortuna. Qualcuno ogni tanto ritornava, ma sempre più raramente.

Attraversare quella pensilina che, ancora oggi, scavalca la Bisingana ed addentrarsi nei sentieri sempre più incerti ed evanescenti, ripassare accanto ai vecchi edifici sempre più vuoti e malandati, il Molin Camillo appunto, probabilmente anche il don Luigino giovane prete l'ha fatto da solo o in compagnia… probabilmente su quello che vedeva o rivedeva nelle varie occasioni, si confrontava poi in dialoghi essenziali e scultorei con papà Ludovico che, soprattutto da quando era andato in pensione, aveva fatto dei dintorni di casa sua il centro dei suoi pensieri, sogni ed anche progetti concreti, della concretezza di tutta la sua vita, concretezza trasmessa ai figli ed in particolare a quel figlio un po' speciale per via di quella tonaca quasi mai portata e di quegli zoccoli scelti come una traccia di essenzialità nella vita.

All'Aravecchia era nata nel frattempo la "comunità" e poi, col tempo, la "casa". Luoghi di accoglienza di persone eterogenee per provenienze, esperienze, necessità, quasi tutte segnate da drammatici rifiuti famigliari o sociali oppure segnate da esperienze comunque negative come alcolismo, droga, esperienze carcerarie, immigrazione clandestina ecc… Persone che "se non stanno qui dove vuoi che vadano, Nani?".

Per il don era chiaro che per quasi tutti coloro che erano stati accolti in comunità o alla casa, quella era una specie di ultima spiaggia, l'ultima occasione per raddrizzare una vità ferita a volte profondamente e radicalmente, segnata da interminabili serie di rifiuti quasi inimmaginabili e a volte assolutamente incomprensibili. Si rendeva però anche conto che pur nello stile di famiglia che eroicamente ha cercato di portare avanti ogni giorno della sua vita all'Aravecchia, la convivenza di così tante "particolarità umane" poteva essere significativamente pesante e a volte addirittura pericolosa. Trovare forme di convivenza e luoghi che accettassero temporaneamente alcuni dei suoi figli più deboli e bisognosi divenne una delle sue direttive e ossessioni quotidiane… Non era facile, le strutture che assomigliassero alla "casa" erano proprio poche, i servizi sul territorio più burocrazia che "casa" per persone concrete

Per don Luigi, dopo qualche tempo dall'accoglienza di ognuno degli ospiti, le tappe del recupero si delineavano in mente con precisione e concretezza, ma raramente queste tappe trovavano i luoghi e le occasioni reali della loro realizzazione.

Il "lavoro" era la direttiva essenziale nella vita della comunità, ma far lavorare in armonia persone così diverse non era facile. Fin dai tempi del "casermone" si era iniziata la serie delle "cooperative" per incanalare e strutturare questo grande pedagogo che è il lavoro, ma non bastava, le esigenze concrete delle persone erano moltissime ed allora bisognava pensare, sognare, progettare, bussando a tante porte, cogliendo con attenzione e preveggenza ogni più piccola occasione.

E una di queste occasioni si presentò quando un anziano del Molin Camillo lasciò in eredità una casa a quel compaesano che tanto si dava da fare per chi non aveva niente e nessuno su cui contare. Fu quello l'inizio di una storia che coinvolse moltissime persone.

Gli inizi furono timidi perchè le forze non erano molte, ma presto quelle "salite" a Brusnengo nei week-end divennero appuntamenti irrinunciabili per alcuni membri della comunità. Per il don che non volle mai prendere la patente, riuscire a conciliare proprio al sabato e alla domenica i suoi impegni di parroco con quelli della comunità fu possibile grazie alla generosità e alla dedizione di tanti "autisti". Anche alcuni ragazzi si fecero le ossa da neopatentati su quel percorso, a volte a cavallo di mezzi che aggiungevano un pizzico di brivido ulteriore all'adrenalina tipica del neofita.  .

Si pulirono le rive, con l'aiuto di amici e di alcune ditte si rifecero i muri di contenimento. Per molti dei ragazzi furono esperienze di lavoro originali che permettevano di contemplare davvero, dopo sforzi e fatiche immani, il frutto del proprio lavoro. "ecco che anch'io sono capace di combinare qualcosa". E don Luigi aiutava questo processo di autostima embrionale condividendo i suoi sogni con loro, con quelli che ogni sabato salivano a dare una mano. Non mancarono episodi comici e fantozziani come quando qualcuno pensò di riempire i cassoni di precompresso destinati a contenere le rive più fragili e ghiaiose prima di collocarli in sito. Fatiche ulteriori che si concludevano comunque sempre positivamente e con un pochino di esperienza e convinzione in più.

Con una risistemazione minimale delle abitazioni qualcuno, particolarmente attirato da quei lavori all'aria aperta, in un paesaggio comunque affascinante e che si faceva sempre più fruibile proprio grazie al lavoro che vi si profondeva, decise di fermarsi anche durante la settimana. Il Molin Camillo divenne la seconda casa per i ragazzi della comunità, quella "fatta quasi tutta colle loro mani", proprio per questo forse ancora più loro della "Casa" di Vercelli.

Qui entrò silenziosamente in gioco la "famiglia Longhi", papà Ludovico, le sorelle ed i fratelli nei ritagli di tempo. Da quando qualcuno dei "ragazzi" si stabilì in quella vecchia casa ereditata dal don, non passava giorno che non passasse qualcuno a gettare un'occhiata discreta. A volte un suggerimento, altre volte un semplice saluto, altre volte ancora, se necessario, una telefonata a Vercelli, col don che "precettato" il primo autista disponibile compariva al Molin Camillo a dirimere questioni, valutare situazioni, rimettere in riga chi ne aveva bisogno.

In questo clima di "seconda casa" della comunità alcuni dei ragazzi che lavoravano a Vercelli ottenevano ogni tanto di trascorrervi qualche festività o vacanza coi loro amici e quelle vecchie mura allora diventavano testimoni di "gogliardate" il cui confine era solo la fantasia… capodanni indimenticabili, al freddo ma con tanta allegria.

Rese praticabili le rive, l'attenzione di don Luigi si spostò sulla legnaia, dalla parte opposta del cortile, persino un po' scomoda… Nacque così, a poco a poco, la prima cappella del Molin Camillo. Il posto più umile di un insediamento umano ancora una volta, sulla tradizione del presepe, diventa la casa di Dio. Ma proprio perchè casa di Dio allora, pur nella povertà dei mezzi, l'impegno è quello di renderla sempre più bella. E qui accanto ai ragazzi al Molin Camillo don Luigi porta gli artisti che della bellezza di Dio sono i cantori. Come un piccolo duomo di Milano il cantiere della legnaia attraversa i vari periodi che lo portano ad essere il gioiellino che tutti possono ammirare oggi; da legnaia a Cappella della Trasfigurazione col contributo decisivo di Giuseppe Papetti e il recente intervento conservativo di Isabella Vitti. 

Alcuni dei ragazzi segnano colla loro presenza l'evolversi del Molin Camillo. In particolare vengono introdotti gli animali domestici che portano alla creazione di tettoie, stalle, porcilaie ecc… tutto il corredo di una moderna azienda agricola. I prati, strappati con fatica ma con successo ai rovi diventano spettatori di regolari fienagioni per dare continuità ad una stalla sempre più ricca che in qualche modo assicura, per la sua parte, i rifornimenti alla mensa della "casa" di Vercelli sempre più ricca di ospiti.

Alla casa di Vercelli arrivano sempre più immigrati, le prime ondate di quel movimento migratorio dal sud povero al nord ricco che ci porterà alla situazione attuale di una società ormai definitivamente multietnica ma sempre più problematica e disuguale. Don luigi è la punta di diamante dell'accoglienza a Vercelli.

 

 

Intanto